UNA PACE AL GIORNO
Romina Guidelli
Un’inquietudine silenziosa trattiene arti sotto pesanti stoffe, coperti di volontà e di incertezza.
Corde e fili hanno spostato oggetti dal dipinto di una natura morta. Il disegno li ha liberati da una condizione d’inquadratura statica per incastrarli ancora, ma al di fuori di un set. Questo cambio di scena li nobilita. Contro il muro, l'ombra che si dilata descrive l'energia del movimento compiuto per abbandonare la composizione e trasformarsi, da attori, in protagonisti dell'opera.
Scopro che la pittura di La Monica é molto di più di quello che appare e di quanto è celato. Sollecita due tempi: un ‘prima’ e un ‘dopo’, rispetto al presente che ritrae; invita a guardare verso e oltre se stessa.
L'uomo di La Monica si veste di quell’oltre traducendolo in panneggio; una coperta simbolica custodisce il nudo universo dell’essere umano. La scelta del soggetto unico, il più delle volte isolato e quasi sempre completamente celato nei suoi lavori ad olio, accade solo in seguito allo studio di oggetti, che caratterizzano identità, eseguito attraverso il disegno.
Una ricerca, quindi, che ha inizio sulla carta, dove oggetti ‘appesi’ sembrano essere scivolati via dall’olio per mostrarsi in maniera esclusiva in altro luogo e con altro medium. In quella terra a parte, non abita il colore: luce, ombra, corde e dettaglio sostituiscono il suo potere evocativo per offrirci ogni particolare dell’oggetto sottratto ai legittimi proprietari ritratti sulle tele.
Lontano dall’apparenza ogni corpo coperto, dipinto spoglio d’ogni esterno riferimento, riflette su 'se dentro'.
Sotto alle stoffe si prepara un'esplosione di cui si legge l’imminenza grazie a corde aggrappate al nulla e al nero, mai puro ma intenso, che avvolge interi sfondi pittorici realizzando inquadrature ideali al tempo dell’attesa.
Uomini si muovono nell’ombra, lentamente e plasticamente. E’ possibile decifrare profili anatomici di figure intere bloccate in diverse posizioni, riconoscibili solo a tratti, di cui la volontà di un gesto si rivela solo se s’immagina il momento successivo a quello in cui l'artista le ferma.
E’ questa la forza della pittura di La Monica: la capacità di descrivere il desiderio di libertà costretto nella prigionia dell’attimo.
Raramente La Monica espone un arto dei suoi uomini allo scoperto, nell’istante prima che questa libertà accada, percepisce la necessità invocata dal soggetto e s’interessa ad essa. Un braccio e uno solo, metà di quella schiena, mani nude, si offrono come prova di sicurezza conquistata. L’artista ascolta il desiderio dell’essere celato: vuole farsi ri-conoscere e, attraverso un’appendice, lasciare traccia. In quell’esatto momento la luce colpisce l’intero corpo dipinto, ma rispetta il suo desiderio di rimanere sconosciuto in volto.
Una nuova nascita, intanto, si prepara su un’altra tela e vedrà quello stesso uomo o un suo simile, ancora coperto perché accecato dal bagliore di una nuova domanda. Tornerà necessario il silenzio di un’ombra in cui abbandonarsi al tempo per tentare un’altra risposta mediante l’esperienza di una nuova scelta.
Si distingue il carattere di una pittura autobiografica che sviscera i moti dell’animo attraversati dall’artista e le sue riflessioni sull'essere.
Riconosco una scintilla creativa profonda, a tratti sofferta. Visioni che necessitano di silenzi perfetti, di buio assoluto, di corde strette come un sacrificio per raggiungere la verità di una preferenza e portarla in pittura.
Nella sua opera osservo scelte quotidiane che concedono una pace al giorno.
Ragione e cautela guidano l’ispirazione e la sua prima espressione. Ogni fine, invece, è miraggio sensibile che muta nel tempo di un sogno.
È da sogni profetici che sembrano arrivare gli elementi che contaminano il silenzio del ‘vuoto intorno’ agli uomini dipinti da La Monica. Ogni elemento accanto all’unico protagonista, se appare, è indizio d’inconscio, è un frammento che cade da un sogno, da una leggenda, dalle mani di un dio. E’ polvere di una profezia che ha generato simboli.
In ogni tela un messaggio e un messaggero occulto o che, impavido, si rivela attraverso i suoi emblemi.
Zarathustra e la sua storia. Non parla egli è, sotto e dentro alle pieghe di un panno; sotto, dentro alle piaghe di un uomo. Tra dolori, esperienza, il peso di un’intuizione e quello del dubbio, si forma un'anima luminosa capace di partorire al buio il coraggio. Un tronco nodoso non svetta ma taglia trasversalmente lo spazio dell’opera: è il tempo e la forza. Queste potenze siano linfa per ogni uomo che ha bisogno d’andare oltre.
Un volo di colombe si libera dalle corde. Un titano si sta alzando a fatica, poiché ogni scintilla di forza è riposta nella mano tesa. Il bianco 'vola' e colpisce l’ombra rendendo il panno, indosso al corpo, color oro, teso e geometrico: abbondanza per questo ‘Prometeo liberato’.
La schiena di una donna che ha scoperto troppo. Le dita si fondono perché arse dalla luce che le spinge a terra, sembra non siano pronte. E ancora, incauta nudità si mostra su un’altra tela. Una prematura uscita è descritta da una torsione dipinta dall’artista nell’attimo prima che si compia; accanto al soggetto, bellezza di marmo si frantuma. E’ la ‘danza della vanità’.
‘Bellerofonte’ di spalle, braccio teso e testa china; sospese, alla sua destra, due piume. Ha perso Pegaso per superbia. Glielo ricorderà il cielo.
Nell’istante in cui le ginocchia si preparano ad abbandonare il peso del corpo per affidarlo al primo piede, in quel lampo è la volontà di alzarsi. Quando e se una figura si mostrerà, sarà comunque dopo. Possiamo immaginare quel momento o credere che quel corpo cadrà a terra coperto, per rialzarsi ancora. Esempio di volontà perpetua ritratta nella ferma tela.
Il limbo delle possibilità è la terra che abita La Monica.
Non è l’azione ad interessarlo, ma il silenzio della concentrazione che la precede. Non la bellezza del corpo, ma l’intelligenza necessaria ad ogni più sottile mutamento.
Sotto, dentro, in fondo.
Ogni pensiero vive la sua storia oltre il corpo e dentro ad esso; ogni artista vive a fondo il suo sentire e trasforma, commosso ascolto, in opera d’arte.
Interruzioni visive e domande inevase.
I Lights and Shadows di Riccardo La Monica.
di Giacomo Belloni
I dipinti di Riccardo La Monica non finiscono mai di stupirci. Siamo attratti a loro quasi magneticamente: una misteriosa vitalità seduce e provoca la nostra percezione creando un vero e proprio cortocircuito nelle aspettative della visione. Avviene qualcosa che è difficilmente definibile perché che fa leva sull’incompletezza della narrazione, su una sospensione della logica consequenzialità del racconto dipinto. Abbiamo come la sensazione che qualcosa rimanga sospeso a mezz'aria; è come se si materializzasse un’interruzione, un rallentamento della naturale temporalità. Ci si ferma in attesa che la narrazione, a cui è ancorata la scontatezza dell'evolversi fluido dei pensieri, riprenda il suo naturale scorrere verso una conclusione ragionevole e sequenziale. Rimaniamo fermi in attesa di una risposta che tarda ad arrivare, immobili nell'attesa che qualcosa ci ricolleghi alla consueta linearità dei pensieri. Ma cos’è che cristallizza il tempo e dilata la percezione quando siamo di fronte ad un dipinto di Riccardo La Monica? C'è una domanda a cui va data una risposta prima di proseguire, perché senza questo non si riuscirebbe a passare al quadro successivo e si rimarrebbe imprigionati in una sorta d'attesa senza fine.
Cosa c’è dietro quel drappo, chi c’è sotto quella coperta? C'è forse qualcuno rimasto imprigionato sotto il pesante velo dell’inadeguatezza, qualcuno paralizzato dalla paura di un esterno ostile al quale non si vuole arrendere? Allora il drappo non sarebbe altro che un rifugio protettivo sotto il quale nascondere (senza abbassare) gli occhi per evitare di incrociare lo sguardo di una realtà eccessiva, per eludere l’indice inflessibile di un giudizio troppo esigente o per sottrarsi a una voce alta e aggressiva capace solamente di dispensare colpe immeritate. La coperta è la linea severa di un confine netto, il limite immaginario tra un mondo e un altro, quel mondo al quale, solo il pittore può decidere chi far accedere, ma soprattutto il limite del suo spazio nel quale solamente lui ha discrezione su chi lasciare entrare o su chi emarginare. Ecco che il drappo è la metafora di ciò che separa la sua sensibilità dalla superficialità della contingenza, un velo immaginifico che protegge il fiume in piena di una creatività delicata che ancora rimane l'unico modo per urlare in silenzio la voglia di esserci, per esprimere in codice che lì sotto c'è qualcosa pronto per esplodere, ma senza alcun clamore, con la necessaria soavità che si addice all’artista capace.
Ma cosa attende per rivelarsi a noi, per scoprirsi e finalmente divenire parte della nostra dimensione, di noi che osserviamo dall'esterno la sua opera, per noi che siamo ancora dall'altra parte della coperta, in quella porzione di mondo che ancora non collima con il suo, che è rimasta fuori; ma cosa aspetta per uscire finalmente da quell'anonimato esistenziale che lo estranea da ogni confronto relazionale?
La Monica lavora con le tenebre e con la luce, Lights and Shadows è il nome che dà ad uno suo noto ciclo di dipinti. La Monica scrive con le ombre – shadow - le stesse che sono fuori dal drappo che riveste il suo personaggio. Intorno a lui il muro impenetrabile della notte, una fitta coltre nera che si dischiude appena in favore del un bagliore tenue di una luce che arriva da lontano a infrangere il silenzio dell’oscurità, la stessa luce che porta la speranza di un domani diverso, migliore. La luce – light – rappresenta l’illusione che qualcosa possa evolversi verso quella positività preannunciata da un elemento ridente e propositivo, bene augurante, generalmente colorato, quell'elemento che si trova su un angolo di ogni suo lavoro. Ecco allora l'accenno timido di una natura morta, quale auspicio che la luce distante – light - possa avvicinarsi per divenire più intensa per illuminare e rivelare i tanti colori della stanza tenebrosa che ora è l’esterno della pesante coperta. La natura morta è un punto di congiunzione, è il cardine intorno al quale ruota la speranza che la delicata dimensione della sua sensibilità divenga presto la forza caratterizzante del mondo in ombra di oggi. I suoi colori vividi sono quelli che l’artista preserva sotto la coperta, un mondo di luce – light - che vorrebbe esportare per mezzo della sua arte anche verso chi non ha ancora avuto la folgorazione illuminante; perché l’inadeguatezza non è la sua e del suo mondo, ma di chi è rimasto fuori e che, senza luce – light – inciampa di continuo nell’oscurità – shadow – perché perso e cieco nella scontatezza della vacuità.
Suggestioni affascinanti e luminose oscurità nelle tele di Riccardo La Monica
Nel suo primo periodo che risale a circa otto anni fa, la produzione pittorica di Riccardo La Monica comprende dipinti con vaghe influenze fauves e nabis. A queste prime opere seguono una serie di tele originalmente ispirate ad una nuova sintassi pittorica con qualche riflesso di ancestrali sogni onirici.
Naturalmente il valore pittorico di questo giovane artista non risiede nei suoi contenuti a volta ermetici e alchimistici, ma nella suggestione delle immagini e del loro carattere affascinante proprio nella sua luminosa oscurità.
La sua pittura ha attraversato due fasi distinte. Durante il periodo iniziale si è espressa a favore di una accentuata stilizzazione delle forme, mentre nella seconda fase entrano a farne parte oltre che paesaggi luminosi, numerosi ritratti e ultimamente qualche esperimento, su base fotografica, molto interessante, ma ancora da sviluppare pienamente. Ritornando ai ritratti, molto particolare quello dell’attrice Nicole Kidman, un volto dipinto con amore dove traspare l’innamoramento per un personaggio reale ma irraggiungibile se non con la fantasia e con l’apparente paradossale realtà del sogno, un tema di chiara ispirazione romantica. Un volto raffigurato sulla tela può suscitare sensazioni incomparabili rispetto a quelle provocate da una creatura in carne e ossa e la fantasia può a volte essere più affascinante e forse più temibile della realtà, i ritratti possono essere specchio della realtà, perfino uscire dalla cornice per scatenare emozioni infinite.
L”’arte per l’arte” dell’artista La Monica, non solo raffinatissimo pittore ma anche valente restauratore di capolavori, per lui la pittura diventa un rifugio, una maniera di comunicare le sue emozioni, emozioni e sensazioni che certamente i suoi dipinti sapranno trasmettere a chi avrà il privilegio di guardarli..Sentiremo presto parlare di questo giovane artista che si affaccia timidamente al grande mercato e a cui auguriamo un grande e duraturo successo.
Elio Spinelli